mercoledì 12 ottobre 2011

[Bsa Nazionale]report Palazzo san Gervasio: contro la schiavitù moderna Brigate in prima fila!


Palazzo san Gervasio è un paesino arroccato su una collina in provincia di Potenza, circondato da una campagna coltivata a monocoltura (Grano e pomodoro tardivo) scarsamente abitata. Ci sono tanti casolari abbandonati in cui si rifugiano i migranti durante la stagione della raccolta che dura suppergiù da metà agosto a metà ottobre. Fino al 2009 era attivo un campo di accoglienza in cui i lavoratori potevano trovare acqua, cibo, posti per dormire e bagni. Nonostante la cattiva gestione (non esiste ad oggi una rendicontazione delle spese, il che fa supporre che i gestori abbiano molto speculato sull'intero progetto) il campo aveva molti pregi tra cui quello di mantenere i migranti piuttosto vicino al paese e più indipendenti, almeno dal punto di vista dei bisogni primari,dai caporali. La chiusura del campo ha portato i migranti a cercare riparo, in condizioni disumane, nei piccoli casolari, residuo della riforma agraria degli anni 50, dislocati nella campagna. Sono strutture diroccate (alcune fuori dai limiti dell'agibilità) senza acqua e elettricità, di poco più di 30-40 metri quadrati, in cui capita che si trovano a convivere anche 30 o 40 (talvolta di più) migranti. Alcuni di questi casolari si trovavano vicino al paese, ma il Comune di Spinazzola ha deciso di costringere i proprietari delle masserie a metterle a norma, oppure murarle o abbatterle. I migranti si sono dovuti quindi allontanare dalle zone circostanti i paesi abitati e gli unici tetti che sono riusciti a trovare sono lontani dai paesi: zone come Boreano, piccolo paesino ormai del tutto disabitato a 20 km da Palazzo S.G, sono diventati veri e propri “ghetti” in cui i migranti vivono confinati in totale balia dei caporali. Nei vari casolari i lavoratori vivono divisi sia per gruppi etnici sia per “appartenenza” allo stesso caporale: ogni spostamento da un casale ad un altro comporta una violazione dei “confini” di proprietà del caporale, severamente punito. Alcuni vivono controllati a vista: situazione più eclatante quella di un gruppo di sudanesi che risiedono in zona Santa Lucia, in cui i caporali impediscono l'accesso sia all'Omb (osservatorio Migranti Basilicata) che ad Emergency (presente nella zona col “polibus” un ambulatorio mobile).
La totale mancanza di acqua, cibo e energia elettrica rende i migranti del tutto dipendenti dai caporali che ovviamente non perdono l'occasione per lucrarci: l'acqua è fornita spesso dai caporali (i migranti difficilmente hanno i mezzi per spostarsi e per raggiungere le fonti di acqua vicine)a costi variabili da 5 ai 15 euro secondo la quantità. Spesso gli unici mezzi di trasporto che i lavoratori hanno a disposizione sono i mezzi di trasporto dei caporali stessi.


 Il lavoro è pagato a cottimo: dai 3. 50 euro ai 5 euro per un cassone di pomodori (circa 3 quintali), per un massimo di 5 cassoni a giornata. Da questi vengono detratte le spese per il cibo, l'acqua e i trasporti forniti. I caporali ricevono invece anche 10 euro a lavoratore che riescono a schiavizzare”. In ogni caso anche la paga non è garantita: i caporali pagano spesso solo a fine settimana (sono così sicuri che i braccianti non se ne andranno), talvolta non pagano per niente. Ovviamente gli ingaggi regolari sono quasi inesistenti. Se fino a dieci anni fa i caporali erano solo italiani, dal 1998 sappiamo ufficialmente della presenza di caporali extracomunitari. Altra forma di lucro dei caporali è quella dei nulla osta per i lavoratori: i caporali ne chiedono anche più di quanti ne abbisognano per poterli rivendere a prezzi che arrivano fino a 7000 euro.

A tutto questo si aggiunge il pessimo comportamento delle istituzioni: eccetto un progetto provinciale di assistenza ai migranti molto limitato, le istituzioni hanno deciso di affrontare il problema migranti in meri termini di ordine pubblico. Frequentemente si ricorre alle forze del “disordine” per lo sgombero forzato dei migranti dai loro miseri ripari. L'ultima trovata del ministero dell'Interno è stata addirittura, in conseguenza della fantomatica “emergenza tunisina”, la costruzione di un Ciet (centro di identificazione ed espulsione temporaneo): un campo che inizialmente doveva essere di accoglienza e che è stato progressivamente trasformato in un lager (dapprima le tende sono state circondate da una altissima gabbia metallica poi si è costruito nell'ultimo mese un altissimo muro di cemento armato). Sulle condizioni dei migranti entro quel centro è difficile farsi un'idea: c'è una direttiva del Ministero dell'Interno dell'Aprile di quest'anno che impone il segreto entro ogni Cie e vieta l'entrata dei giornalisti. In ogni caso la repubblica è riuscita a mettere on line un video girato dai migranti stessi in cui si mostrano tentativi di fuga, pestaggi e la famigerata gabbia.

La situazione è chiaramente estremamente difficile: vi si trova una strana “collaborazione” tra caporali, Sacra Corona e istituzioni che fanno di tutto per mantenere in condizioni di schiavitù i lavoratori. Non è pensabile che la raccolta dei pomodori nella provincia di Potenza dia vita ogni anno ad una “emergenza invasione” a cui fare fronte a suon di manganelli, Cie e lavoro nero.
Le Brigate hanno deciso di portare la loro opera anche in queste zone, estendendo la Campagna Ingaggiami e la Lega dei Braccianti alla zona di Palazzo San Gervasio, in stretta collaborazione con l'Associazione Michele Mancino e l'Osservatorio Migranti Basilicata, uniche realtà che nella zona escono dalla logica razzista , securitaria e emergenziale costruita attorno ai lavoratori stagionali e che si prodigano realmente per spezzare la catene del caporalato.

Saremo presenti, come sempre nel limite delle possibilità imposte alle Brigate dalla sua natura di realtà autorganizzate e autofinanziate, laddove ci siano margini di intervento pratico e politico di lotta contro lo sfruttamento generato dai padroni e malavita organizzata, contro il caporalato e il razzismo: Palazzo san Gervasio è una di queste realtà.

BRIGATE DI SOLIDARIETA' ATTIVA